News11/05/2022

Strange Attractors, The Anthology of Interplanetary Folk Art, Vol. 3: Lost In Space

Strange Attractors, The Anthology of Interplanetary Folk Art, Vol. 3: Lost In Space

APALAZZOGALLERY è lieta di annunciare la sua prossima mostra Strange Attractors, The Anthology of Interplanetary Folk Art, Vol. 3: Lost In Space, una collettiva organizzata dallo scrittore e curatore americano Bob Nickas. Questa è la terza e ultima puntata della sua serie Strange Attractors, iniziata con una mostra a Los Angeles nel 2017, Life on Earth, seguita da un’altra a New York nel 2018, The Rings of Saturn.

L’esposizione doveva tenersi originariamente nel 2020 ma era stata

sospesa, insieme a molti altri progetti previsti per quell’anno. Sospesa come le nostre vite, in un “protocollo di attesa” che nessuno pensava sarebbe stato così ripetitivo e prolungato. Due anni dopo, il panorama è mutato significativamente, quasi come se il pianeta si fosse inclinato sul proprio asse, se non fisicamente, quantomeno a livello psichico ed emozionale, cambiamenti che forse non abbiamo ancora del tutto compreso. Una verità incontestabile per i più giovani tra noi e i nuovi nati di questo periodo.

L’idea iniziale di Strange Attractors, concepita in quel “mondo di ieri” in cui la vita procedeva più o meno secondo i ritmi di sempre, era basata su una narrazione immaginaria, in vista del cinquantesimo anniversario dello sbarco sulla Luna (1969): assemblare una collezione di opere d’arte da inviare nello spazio, per avviare una comunicazione con chiunque potesse esserci “là fuori”. Come a dire: “Questo è ciò che siamo, questo è il modo in cui gli umani articolano visivamente il pensiero”. Tutta l’arte lo fa, naturalmente, ma non ogni forma d’arte si presta necessariamente a questo livello di fantasticheria: perdersi nel pensiero, smarrirsi nello spazio, corpo e mente, galleggianti, senza peso, fluttuando, ma non alla deriva. Ora che il mondo è stato scosso, la rêverie potrebbe sembrare irresponsabile, interrotta da un incubo da cui molti non si sveglieranno presto. Persi nello spazio? La storia della mia vita è nel suo farsi. Chi l’ha detto? Forse non lo sapremo mai.

Tutti gli oggetti e le opere d’arte del mondo che orbitano l’uno attorno all’altro, talvolta lentamente e quasi immobili, possono entrare in collisione, e venire, in un certo senso, persi per essere ritrovati. Nascono negli atelier o ri-emergono dal sottosuolo (o così sembra), dal presente come dal passato, dall’antichità, da epoche lontane, permettendoci di viaggiare nel tempo insieme a loro. Di una cosa possiamo essere certi: non sono caduti dal cielo. Qualcuno li ha realizzati, o qualcosa di trovato per caso è stato trasformato in un oggetto o un’opera fruibile. Ieri, oggi, migliaia di anni fa. Costruiti con uno scopo, molti per necessità, come veicoli di senso compiuto, che donano forma tangibile a ciò che prima esisteva solo nell’immaginazione: il pensiero reso visibile. Alcuni di essi sono legati alla magia, altri alla ritualità, anche ai giorni nostri, costellati di riti quotidiani. Ogni opera d’arte ha il potenziale per generarne un’altra, al punto che è lecito chiedersi, se non si attraggano forse l’un l’altra tanto quanto attraggono noi; proprio come l’essere umano è attratto e risponde al suo prossimo, a volte quasi involontariamente.

Fin dagli anni ’60, le opere d’arte sono comunemente chiamate “pezzi”, e lo sono: pezzi di un puzzle da incastrare, assemblare, parti di un quadro più grande che si disvela solo gradualmente, con pazienza. Ogni opera d’arte è, in potenza, il pezzo di qualcosa di più grande, altrimenti sconosciuto. Il quadro-puzzle spesso appare più facilmente quando i suoi bordi esterni sono definiti. L’arte, invece, si espande dall’interno, dalla mente, e i suoi limiti sono elastici. Qual è, dunque, la differenza tra un quadro-puzzle e la costellazione in continua espansione che è l’arte? Non è facile trovare un’immagine che esaurisca l’argomento. Chi lo vorrebbe, in fondo, un capolinea? Ars longa, dunque, soprattutto in un’epoca in cui la velocità è diventata la sua stessa immotivata ricompensa: Vita brevis. La concezione espansa dell’arte negli anni Sessanta, inoltre, si svolgeva parallamente a una maggiore curiosità per ciò che poteva esistere oltre il mondo conosciuto, così come a una maggiore insoddisfazione per i suoi limiti e divieti. Gli esseri umani si chiedevano se ci potesse essere qualcun’altro là fuori. In fin dei conti, non siamo forse stati alla ricerca di vita intelligente per tutto il tempo, anche tra di noi? La pittura rupestre può essere considerata come il punto di partenza dell’arte, un pre-linguaggio, un mezzo di comunicazione e di memoria. La grotta fu il primo studio d’artista e la prima galleria. Le impronte fossili nel terreno davanti alle pareti delle caverne, comprese quelle di bambini, attestano infatti la presenza di un pubblico, oltre ai creatori. Tant’è che alcuni artisti, negli anni ’60, hanno abbandonato gli spazi tradizionali della produzione artistica per lavorare direttamente la terra, utilizzando materie prime naturali, come pietre, minerali, sale e così via, immaginando forme espressive che saranno poi rinominate “earthworks”. Estendendo questa definizione, si può affermare che tutta l’arte di cui siamo a conoscenza sia stata fatta e pensata come terrestre, qui su questo pianeta. Tutte le opere d’arte sono, dunque, “earthworks”, opere di terra.

Per i collezionisti e i curatori, le opere, quando messe insieme, possono generare stati di attivazione reciproca. I lavori in mostra, al pubblico come in privato, agiscono, e non meno suggestivamente di quando sono messe in relazione diretta l’una con l’altra. Il museo può essere pensato come un “super collisore”, il che spiega in parte perché alcune visite possano diventare travolgenti sul piano emotivo. Il visitatore può alienarsi, anche se piacevolmente, entrando in convergenza con le opere davanti a sé, o scivolando nello spazio suggestivo che si apre tra un’opera e l’altra. APALAZZOGALLERY si trova in un edificio del XVI secolo, una specie di museo, con tracce palpabili del passato, quasi presenze fantasmatiche. Questa mostra di Bob Nickas ha il potere di contro-infestarlo, “abitando” visivamente le sale con la sua collezione di scultura figurativa, opere dai connotati archeologici o fuori dal tempo. Attraverso l’allestimento, questi lavori sembrano consapevoli l’uno dell’altro, mentre si specchiano nei dipinti, le xilografie e i collage appesi alle pareti, la maggior parte dei quali includono rappresentazioni di figure umane, teste e animali. Tutti suggeriscono un’attrazione gravitazionale reciproca, che il visitatore può percepire e, quindi, entrare a farne parte.

 

21 maggio – 18 settembre 2022

Opening: 21 maggio – dalle 18:00

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